Già, l’ultimo respiro, ma dopo?
Che cosa fare dopo? Quando la malattia viene sconfitta si, ma non dalla guarigione, bensì dalla morte che, – cinica? pietosa? Infame? – mette fine ai giorni della persona amata.
In quel momento terribile e misterioso c’è ancora una parola da dire, qualcosa da fare, una vera consolazione da dare?
Al capezzale di Sara si respira il mistero. Ci sentiamo tutti catapultati in un mondo più grande di noi. Sentiamo sulla pelle il gelido fruscìo della morte che si aggira per le stanze. Sappiamo che con lei, tutti, prima o poi, dobbiamo fare i conti. Di fronte alla sua tremenda maestà tutto diventa piccolo, superfluo, oserei dire, nobile.
Finanche il peccato, per quanto sciocco, inopportuno e devastante, impallidisce e retrocede impaurito e rispettoso.
Guardo Lina, una mia vecchia amica, ricordo il giorno felice del suo matrimonio. Sara viveva allora soltanto nella mente del buon Dio. Presto fece capolino nel grembo della mamma. Un invisibile puntino che si trasformò e divenne embrione, feto, neonata. La bimba che nacque divenne donna, sposa, poi, a sua volta, mamma.
E adesso? Che sta per succedere, adesso? Che accadrà all’ invisibile puntino di soli quattro decenni fa? Per chi ha il dono della fede, la morte sarà l’ultima, grande, trasformazione. Da Dio veniamo a Dio ritorniamo.
Negli ospedali di un tempo, quasi sempre fondati dai credenti in vecchi monasteri, la cappella occupava il posto centrale e il prete per la celebrazione della Messa non mancava mai.
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