Attualità. Storia del 25 Novembre. Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: quando la tutela è una “priorità”, ancorché una necessità

Purtroppo, se consideriamo il caso dell’Italia – nel 2022 – si è ancora alle prese con numeri relativi ai femminicidi da far “rabbrividire”. In base ai dati Istat, infatti, le donne vittime di omicidio volontario nell’anno 2020 in Italia sono state 116. Nel 2019 erano state 111. Solo Nei primi sei mesi del 2022 sono 38 i femminicidi, quasi uno ogni quattro giorni. Quando “scatta” la molla sbagliata, ahinoi, alcune persone non riescono – infatti – a controllare i propri istinti e, talvolta, è accaduto che delle relazioni siano finite in tragedia. Ma come si può fare del male alla figura che dà la vita? Che rappresenta l’essenza del sentimento, quello di una madre verso il figlio/a, è ancora argomento di forte discussione, naturalmente condannando a priori ogni atto di violenza, sopruso e prevaricazione verso di essa. Evidentemente, però, lo status quo giuridico relativo alla fattispecie del “femminicidio” – termine ormai inflazionato senza che nessuna decisione determinante da parte di istituzioni ed enti preposti sia stata assunta per arginarlo ndr. – ovvero il brutale gesto e fenomeno che consiste nell’omicidio di una donna, contro ogni diritto umano e qualsivoglia norma di convivenza civile.

Facendo riferimento alla ricostruzione storica di uno degli eventi più attesi in tema di prevenzione della violenza contro le donne, ogni anno il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

L’istituzionalizzazione di questa giornata è dipesa dalla risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999, ovvero l’atto giuridico più importante che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite può emettere. In tale risoluzione si definisce questa violenza «una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, ad oggi, non viene denunciata, a causa dell’impunità, del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano». Già nel 1993 l’Assemblea Generale si era espressa, nell’Articolo 1 della Dichiarazione sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne, definendo la violenza di genere: «Qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata». La svolta fu nel riconoscere la matrice storica, sociale e culturale della violenza di genere: «Il femminicidio è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro, e ha impedito un vero progresso nella condizione della donna.».

Successivamente, l’11 maggio 2011, è stata stipulata dal Consiglio d’Europa la Convenzione di Istanbul: il trattato internazionale vincolante di più ampia portata finalizzato alla prevenzione della violenza, alla protezione delle vittime, alla persecuzione penale degli autori di violenza e alla promozione di politiche finalizzate al contrasto di questa forma di violazione dei diritti umani.  La Convenzione di Istanbul coinvolge come firmatari 45 paesi tra appartenenti all’Unione europea e non, come ad esempio gli Stati Uniti e il Giappone, ma soltanto in 19 paesi tra questi l’accordo è effettivamente ratificato, ovvero entrato in vigore. Tra l’altro, recentemente l’accordo è stato abbandonato dalla Turchia e messo in discussione da Bulgaria,  Slovacchia e Polonia e questo dato ci suggerisce quanto sia necessario e attuale promuovere ancora iniziative di contrasto alla violenza sulle donne e di genere. Infatti, nel 2021 il Consiglio d’Europa ha proposto di considerare la violenza sulle donne e le ragazze e le discriminazioni basate sul genere che coinvolgono anche le persone della comunità LGBTQAI+ un reato comunitario, un “eurocrimine”, in modo tale da poter stabilire sanzioni penali comuni, dal momento che viene riconosciuta la natura sistematica e la dimensione sovranazionale di questi crimini.

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